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GIULIO MAIRA: IL CERVELLO DELL’UMANITÀ? ECCOLO QUA

  • 16 mag 2018
  • Tempo di lettura: 9 min

Aggiornamento: 12 giu 2018

L'INTERVISTA DI ANNA MARIA BRANCA AL NEUROCHIRURGO GIULIO MAIRA. Il professor Giulio Maira è oggi considerato uno dei migliori neurochirurghi di fama internazionale. Abita e lavora a Roma, ma viene spesso chiamato a compiere interventi urgentissimi in altre città. Ha operato pazienti sconosciuti e personaggi illustrissimi, di primo piano, unici al mondo. È di indole pacifica, piuttosto taciturno, affabile, anche se spesso sembra che il suo cervello stia pensando a come risolvere i problemi, anche i più gravi, dei cervelli altrui, di tante persone. Perché le esperienze da lui compiute e le conoscenze acquisite in tale attività si risolvono in benefici non solo per i suoi pazienti, ma per tutti, gente semplice o importante, italiani e stranieri, e in linea generale per la scienza, in particolare per la neurochirurgia. In questa intervista risponde a due tipi di domande: sui progressi compiuti dalla neurochirurgia in questi ultimi anni, e sulle evoluzioni che ha avuto in migliaia di anni il cervello umano.



Questi i quesiti: quali sono gli ultimi progressi della chirurgia del cervello, degli studi, dell’affluenza nel settore dei giovani medici, dello sviluppo dei centri nazionali ed internazionali di eccellenza? Il cervello dell’uomo di oggi è sempre uguale a quello dei nostri progenitori di mille anni fa?

Ciò anche in rapporto alla politica, alle credenze, alla cultura delle masse, alla stampa e soprattutto alle emittenti televisive che riescono ad imbonire la gente e a orientarne le opinioni.


Ai fiumi di parole e di concetti che riceve ogni giorno, come reagisce o non reagisce il cervello umano? È possibile che la cultura acquisita nella scuola e all’Università provochi conseguenze positive o negative nei cervelli rispetto a quanto avveniva 50 o 100 anni fa, quando la gente era incolta e semi-analfabeta?

«I progressi ci sono sempre, sono continui, qualche volta sono più evidenti, altre volte meno, ma la medicina progredisce sempre–risponde il prof. Maira–. Se vogliamo indicare con esattezza quali sono state le novità negli ultimi anni, diciamo che, innanzitutto, c’è stato un miglioramento della diagnostica soprattutto con le nuove apparecchiature per l’esecuzione di risonanze magnetiche funzionali, che esistevano già da qualche anno ma che, più recentemente, hanno visto migliorare enormemente le loro potenzialità. E che pertanto ci permettono di ottenere una visione precisa delle aree funzionali più importanti del cervello, e non solo».

Domanda. Che altro consentono? Risposta. Intanto una migliore definizione delle patologie, una conoscenza precisa del rapporto esistente tra queste ultime, che possono essere tumori o angiomi, e le aree cerebrali più importanti. Quando operiamo un malato di tumore, possiamo sapere quanto siamo vicini all’area motoria del cervello o a quella del linguaggio. Soprattutto negli ultimi tempi, lo sviluppo di tali sistemi ci ha permesso di vedere anche le fibre di connessione: un tumore può essere lontano dall’area corticale relativa ad una determinata funzione, ma poi va a danneggiare le fibre che da quell’area si proiettano in altre aree del cervello e permettono a questo di esplicare una particolare funzione. Per esempio, le aree del linguaggio possono essere perfettamente preservate, ma le fibre del fascicolo arcuato che collegano le aree del linguaggio percettivo con quelle del linguaggio espressivo possono essere interrotte, per cui il paziente non riesce a parlare. La conoscenza e la visualizzazione delle fibre e delle aree ci permette di capire dove possiamo o non possiamo intervenire, ed anche di stabilire le traiettorie sicure per raggiungere eventuali lesioni profonde. Questo è stato un progresso molto rilevante ed un grande aiuto per il chirurgo il quale adesso puó effettuare, con maggiore sicurezza, interventi molto complessi.




D. E qualche altro progresso? R. Un altro riguarda le attrezzature della sala operatoria, dove troviamo microscopi sempre più sofisticati e precisi; si è diffuso molto l’uso dell’endoscopio che in neurochirurgia si sta affermando in questi ultimi anni, con il risultato di migliorare la rimozione di alcuni tumori della base cranica, oppure il trattamento di alcune forme di idrocefalo, ossia di quella malattia caratterizzata da una dilatazione dei ventricoli cerebrali e che puó associarsi ad aumento della pressione intracranica o a forme di demenza. Fino a pochi anni fa tutte le forme di idrocefalo venivano curate mediante l’applicazione di derivazioni ventricolo-peritoneali, ossia  protesi che permettono al liquido di defluire, ma per alcune forme di idrocefalo oggi si ricorre a un intervento endoscopico che risolve il problema senza dover apporre delle derivazioni stabili. Un ulteriore progresso della neurochirurgia si basa sulla possibilità di individuare, mentre operiamo, la localizzazione delle aree cerebrali sedi di funzioni importanti grazie allo studio neurofisiologico intraoperatorio. In pratica, quando operiamo un paziente, possiamo non soltanto sapere dove sono le aree e le fibre che dobbiamo rispettare ma, mediante la stimolazione di particolari aree, individuate prima grazie alla risonanza magnetica funzionale, possiamo accorgerci se le nostre manovre chirurgiche possono danneggiare queste aree, rischiando così di compromettere le funzioni corrispondenti. Alcuni interventi si eseguono addirittura con il malato sveglio. Per esempio, quando operiamo vicino alle aree del linguaggio, le stimoliamo in modo che, mentre il paziente parla, ci accorgiamo se ha disturbi in tale campo.

D. Può fare un esempio concreto? R. Un malato che avuto come paziente, ragazzo con un tumore benigno in un’area molto delicata del linguaggio. Stavamo operando e il quadro era abbastanza singolare perché il malato era sveglio e recitava Dante Alighieri; se avesse avuto un problema del linguaggio, si sarebbe inceppato. Un ulteriore vantaggio è l’uso dei navigatori intraoperatori, cioè di quelli che, come i navigatori delle macchine, ci portano in sicurezza sulle zone bersaglio della chirurgia. A tutto questo bisogna aggiungere soprattutto il progresso delle conoscenze perché ci consente di essere più precisi nelle terapie. Oggi lo sviluppo della genetica ci ha fatto capire, per esempio, che i tumori cerebrali sono caratterizzati da una serie di alterazioni a livello genetico; l’individuazione di queste ci permette di adottare terapie molto specifiche. Si è scoperto un dato molto significativo, che lo stesso tumore in persone diverse, può avere alterazioni genetiche diverse. Noi oggi li trattiamo tutti nello stesso modo, ma se individuiamo le singole alterazioni di un tumore specifico in un particolare individuo, per costui prescriviamo una terapia che possiamo definire veramente «personalizzata», perché indirizzata all’alterazione specifica che caratterizza il suo tumore. Può anche capitare che due malati con tumore cerebrale vengano trattati con terapie diverse; e che, ad uno colpito da tumore cerebrale, sia prescritta la stessa terapia adottata per un malato di tumore al polmone. Questo perché tante volte si è visto che tumori diversi hanno alterazioni biomolecolari simili.


Tutto ciò sta portando a un progresso considerevole della medicina. Tra i progressi della neurochirurgia metterei anche l’esperienza che ognuno matura nel corso della propria vita. La medicina non viene praticata da un robot ma da una persona e, nel caso particolare della neurochirurgia, da un chirurgo; sta a lui, alla sua esperienza, alla sua capacità di interpretare la realtà, usare nel modo migliore tutto quello che il progresso mette a sua disposizione per far sì che l’atto chirurgico venga eseguito nel migliore dei modi. Perché non basta semplicemente possedere le tecnologie se non si sa come usarle per ottenere il miglior risultato.


D. Si potrebbe dire che ci sono stati, in 5 anni, più progressi che nei 15 anni precedenti? Ed è possibile operare con sonde anziché con incisioni dirette? R. Il progresso è esponenziale e ogni anno si ha uno sviluppo in ricerca ed  esperienza superiore a quello dell’anno precedente; gli 5 ultimi anni hanno superato i precedenti 10 nella quantità e nell’impiego di novità. Quanto alla robotica, è possibile usarla a livello addominale. Esiste l’ormai famoso robot «Da Vinci» usato soprattutto in ginecologia, urologia e gastroenterologia. Ma questi robot per muoversi hanno bisogno di spazi molto ampi, noi non possiamo entrare nel cervello con sonde che smuovono tutto. Tuttavia possiamo utilizzare delle sonde particolari per la cura di alcune malattie, come il morbo di Parkinson, in cui il trattamento consiste nella stimolazione di un’area particolare localizzata vicino al talamo, in una zona profonda dal cervello; in questo caso, con un sistema computerizzato la sonda entra dentro, stimola l’area-bersaglio e quindi va tolta. Un altro progresso relativamente recente è rappresentato dalla radiochirurgia che ci permette di trattare piccole lesioni profonde senza intervento chirurgico. In questo modo riusciamo a curare piccoli angiomi cerebrali oppure piccole lesioni tumorali quando la chirurgia ci sembra troppo rischiosa.

D. Tumori e in genere malattie e casi neurologici sono in aumento? R. Sono in aumento anche perché è migliorata la diagnostica, c’è una maggiore sensibilità alle diagnosi, ma indipendentemente da questo fattore che spiega l’aumento dei pazienti, per alcune malattie come i tumori cerebrali, anche se non ho dati precisi, la mia impressione è che stiano aumentando, anche tra i giovani. Dipende dallo stile di vita condotto ma anche dall’inquinamento, dallo stress, dall’alimentazione che diventa sempre meno biologica e meno sana. Quanto all’ereditarietà, per alcuni tumori c’è, ma per fortuna costituiscono una minoranza, una minima parte. Per alcuni tipi ci può essere una predisposizione, una maggiore probabilità di averlo, ma il tumore trasmesso geneticamente per fortuna è raro.

D. Gli studenti, i nuovi medici, hanno interesse per questo settore? R. Direi di sì. Oggi purtroppo si tende a generalizzare affermando che i giovani amano più le discoteche che lo studio. In realtà la mia esperienza con gli studenti e con gli specializzandi è estremamente positiva, ho tanti giovani, ragazzi e ragazze, che s’impegnano fortemente nella neurochirurgia. Anche loro si concedono, come è giusto, degli svaghi, ma denotano un impegno e una serietà encomiabili. Sono una promessa e una risorsa per il futuro, ma sta a noi formarli bene.

D. Come si diffonde nei vari Paesi la conoscenza degli ultimi progressi? R. Internet, come pure la possibilità di viaggiare, ne consentono una rapidissima diffusione; tutti i giovani che sono con me visitano gli altri centri di neurochirurgia, riescono ad essere in poco  tempo ovunque, frequentano i congressi. Questo permette di livellare i vari Paesi su basi molto alte.  Esistono ovviamente centri che in particolari malattie hanno raggiunto l’eccellenza perché fanno ricerca e permettono di avere di prima mano le novità, le nuove tecnologie, le nuove terapie, le nuove cure; ma quando queste scoperte appaiono utili, rapidamente se ne ha la diffusione; si arriva un po’ alla globalizzazione anche delle conoscenze.

D. Anche i Paesi meno sviluppati economicamente possono accedervi? R. Sì, ma oltre alla conoscenza che si può acquisire, la medicina oggi richiede le tecnologie, e il progresso si basa sulla disponibilità di queste ultime che sono anche molto costose. Non tutti possono permettersi quelle d’avanguardia.


D. Nelle facoltà intellettive l’umanità progredisce rispetto a mille anni fa? R. Il cervello è un organo molto «plastico», e noi nasciamo con un cervello  che, per certi versi, deve imparare tutto. Dalla nascita alla senescenza esso progredisce acquisendo nuove informazioni che rimangono nel suo corredo culturale. Quindi, pur nascendo tutti con un cervello egualmente plastico, nel corso della vita ci differenziamo grazie a tutto quello  che è fuori della genetica e che il cervello apprende. Tutto questo avviene nell’ambito del destino che caratterizzarà ogni individuo. In riferimento al progresso dell’umanità, invece, sicuramente il cervello ha compiuto progressi rilevantissimi, ha avuto un’evoluzione che ci ha portato all’uomo di oggi, che è enormemente più colto e sa tante cose più dell’uomo del ‘700. L’evoluzione c’è, anche se è lenta e apparentemente non si vede.


Basta pensare all’evoluzione della donna: quella di un secolo fa non è la stessa di oggi, emancipata e libera, che sta modificando anche il proprio modo di condurre la vita. Il cervello della donna prima era pronto alla maternità tra i 25 e i 30 anni, oggi tra i 35 e i 40. Questo sicuramente modifica alcune funzioni biologiche del cervello femminile.

Fino a un secolo fa la donna non arrivava nemmeno alla menopausa, moriva prima, oggi la fase in cui la donna è in menopausa è lunga e questo ne modifica profondamente sentimenti e rapporti con il mondo esterno. Quindi esistono costantemente fattori sociali e culturali che influenzano il cervello. Un esempio molto comprensibile è rappresentato dai nuovi mezzi informatici di comunicazione e di apprendimento; la generazione che nasce oggi è abituata all’informatica, ai computer, ha una capacità di apprendimento diversa, e sicuramente svilupperà un modo di usare il cervello diverso da quello della generazione precedente. Una parte di tutto questo rimarrà nella genetica e nel patrimonio stabile del genere umano, quella parte in cui l’individuo si adatta alla situazione. Esiste una plasticità cerebrale, cellulare e genetica che permette di adattarsi e di modificarsi in funzione delle situazioni contingenti, per cui l’enorme progresso verificatosi nell’informatica e nelle tecnologie certamente avrà un riflesso anche sulla forma di adattamento del cervello. Oggi tutto questo è acquisito, ma nel futuro sarà quasi innato, si sta strutturando nell’individuo ma anche nel genere umano, ed è ovvio che, mentre la modificazione di un individuo avviene nell’arco di una vita, quella del genere umano si registra nell’arco di secoli.

D. A prescindere dal livello di cultura degli ascoltatori, le orazioni di Giulio Cesare o di Cicerone avevano un effetto. I discorsi di Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e tanti altri, hanno oggi lo stesso effetto o la gente è più reattiva e critica? R. Sicuramente oggi si è più critici e questo è dovuto non soltanto alla cultura, ma anche alla conseguente diversa funzionalità del cervello, al diverso modo di elaborare le esperienze acquisite nel corso dell’evoluzione. Le due cause sono connaturate, oggi la cultura è più diffusa e quindi un certo modo di pensare ha più presa nella popolazione, ma c’è anche una maggiore capacità critica legata al progresso della cultura, ed anche alla modificazione della fisiologia del cervello.  (ANNA MARIA BRANCA)


Giulio Cesare

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